politica criminale

di afasia

E dunque la Cassazione ha stabilito che per lo stupro di gruppo non è più obbligatorio il carcere. Lo dicono i maggiori e prestigiosi siti d’informazione con titoli inequivocabili. Ascoltiamoli.

  • Stupro di gruppo, carcere non obbligatorio (Repubblica.it)

  • La Cassazione e lo stupro di gruppo: il carcere non è più obbligatorio (Corriere.it)

  • Stupro collettivo, carcere facoltativo (Stampa.it).

Si ripete. Titoli inequivocabili.

Una tale aberrazione non poteva che suscitare l’indignazione dei politici (specie al femminile, com’è comprensibile) e delle associazioni femministe. 

«Una sentenza lacerante, che fa discutere» (Barbara Pollastrini – Pd)

«Una sentenza impossibile da condividere. Manda un messaggio sbagliato. Le aggravanti per i reati di violenza sessuale furono introdotte proprio per evitare lo scempio della condanna senza un giorno di carcere per chi commette un reato grave come questo» (Mara Carfagna, Pdl)

«E’ aberrante applicare misure alternative al carcere per lo stupro di gruppo. La Cassazione ha lanciato una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e a depotenziare tale grave reato. Una donna che vede negato il carcere per i suoi carnefici subisce una seconda violenza» (Alessandra Mussolini – Pdl)

«La sentenza sarà un’ulteriore spinta al silenzio per le donne che subiscono violenza». (Donata Lenzi – Pd)

«Intervenga il Guardasigilli» (Roberto Maroni – statista)

«Questa sentenza maschilista non fa onore all’Italia. È un invito a continuare la violenza sulle donne» (Coordinamento Internazionale delle associazioni per la tutela dei diritti dei minori)

Una sola domanda. Davvero la Cassazione ha emesso una sentenza in cui si stabilisce che chi è stato condannato per violenza sessuale di gruppo non necessariamente deve andare in galera ad espiare la sua condanna?

Non ci crederete, ma la Cassazione non ha assolutamente detto questo. Anzi, non ha emesso alcuna sentenza; non ha condannato nessuno per violenza sessuale; non ha minimamente detto che i rei di siffatti reati possano scontare la loro pena in posti diversi dal carcere. Ah! E i titoli dei giornali? Gratuiti e volutamente fuorvianti. E le reazioni indignate dei politici e delle associazioni? Hanno indegnamente cavalcato, con altrettanta pretestuosità e malafede (o, peggio, ignoranza), un tema così scabroso (ma sensibile alle corde dell’elettorato femminile) sulla base di una notizia falsa. Ma davvero? Davvero. Hanno quindi approfittato dello stato di debolezza della donna, così emotivamente coinvolta in tali notizie di cronaca? Proprio così, ne hanno abusato.

Cercherò di essere discretamente divulgativo e il meno possibile tecnico. Anche perché l’argomento è di facile intuizione anche per i non addetti ai lavori

La Cassazione non si è pronunciata a proposito delle modalità di espiazione di una pena per violenza sessuale di gruppo, ma ha semplicemente emesso una pronuncia, sul cui reale ed effettivo contenuto dirò poi, in tema di misure cautelari e di carcerazione preventiva. Temi che nulla hanno a che vedere con la pena.

A questo punto mi tocca fare un passo indietro, necessario per chi avesse voglia di capire meglio la questione e comprendere in quale modo viene offerta l’informazione in questo paese e qual è il livello della classe politica che dovrebbe avere maggiormente a cuore i diritti delle donne.

Cosa sono le misure cautelari? Cos’è la carcerazione preventiva?

Questi argomenti vengono solitamente trattati, in maniera speciosa e interessata, da quegli stessi politici di cui sopra allorché alcuni loro colleghi vengono accusati di aver commesso reati contro la pubblica amministrazione. Io, in proposito, sarò più sobrio e meno garantista.

È norma di civiltà che si vada in galera da colpevoli. Per essere colpevoli occorre che un tribunale lo accerti dopo un processo. La nostra Costituzione stabilisce, inoltre, che si è colpevoli solo dopo una sentenza definiva; quindi non lo si è finché è possibile fare appello o proporre ricorso in Cassazione. Quando la sentenza è definitiva, si va in galera a scontare la pena. Semplice, non trovate?

Però, in via del tutto eccezionale, può accadere che prima che un regolare processo accerti la colpevolezza di una persona, un non colpevole (o un non ancora colpevole) possa comunque essere privato della sua libertà personale. Ma questa privazione non attiene alla pena, sia chiaro.

I casi sono tre (distinti ed autonomi), e devono comunque reggersi su un presupposto comune. Il presupposto è che, anche se il processo è da svolgere, gli elementi sin lì raccolti ci fanno pensare che quell’accusato abbia con buone probabilità commesso quel reato. Ma questo presupposto, sia sempre chiaro, non si regge sulla circostanza che siccome è probabile che sia lui, “intanto va in galera”. No, questo presupposto è necessario perché sia minore la possibilità di privare della libertà personale chi potrebbe essere infine assolto. Questo dunque è il presupposto base. Ma non basta per andare in galera prima di essere dichiarato colpevole. Occorre anche il motivo, cioè l’esigenza cautelare. Queste sono tre, ed è sufficiente che ne ricorra una. Pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove. Un uxoricida reoconfesso quante possibilità ha di reiterare il reato? Nessuna, a meno che non si risposi. Quante possibilità ha di inquinare le prove? Nessuna, ha confessato. Quante possibilità ci sono che possa fuggire all’estero? Nessuna, verosimilmente. Bene, questo assassino non andrà in galera mentre si celebra il processo che potrebbe concludersi con l’ergastolo. Ci andrà dopo, e ci resterà 30 anni. È un’ipotesi limite, certo. Ma serve a comprendere le finalità della norma e la sua eccezionalità applicativa.

C’è però una seconda questione, importante. Anzi importantissima. Se l’accusato gravemente compromesso dalle prove sin lì raccolte – ma ancora da sottoporre ad un regolare processo – può fuggire o inquinare le prove o reiterare il reato, andrà necessariamente in galera? No, perché se la misura cautelare ci serve solo ad impedire che accada una di quelle tre cose, ci sono anche altre misure (diverse dal carcere) che possono agevolmente garantirci quel risultato. Queste misure sono stabilite dalla legge e sono, tra le altre: il divieto di espatrio (per evitare la fuga, ad esempio), il divieto di dimora in un determinato luogo (perché ad esempio è lì che l’accusato ritrova la cricca con cui si presume commetta i reati, e questo dunque può essere sufficiente ad evitare la reiterazione), gli arresti domiciliari (perché questo potrebbe essere sufficiente a non avere contatti con l’esterno e mettersi in condizione di inquinare le prove, magari avvicinando un testimone e accomodarlo). La legge stabilisce che il giudice, quando applica una misura cautelare, valuta quale sia la più appropriata ad evitare una di quelle tre cose e che solo se nessuna delle altre risulterà adeguata debba disporre la custodia cautelare in carcere. Il motivo è chiaro: trattandosi di privazione della libertà personale da disporre non come pena anticipata (visto che il processo è da celebrare) ma solo per garantire che non accada una di quelle tre cose, va applicata la meno stringente possibile, purché adeguata. Così, se l’accusato dovesse essere assolto, avrà patito ingiustamente il meno possibile (e minore sarà il risarcimento che gli dovrà lo Stato).

La legge aveva stabilito una sola presunzione. Se il reato per cui si procede è associazione mafiosa l’unica misura cautelare adeguata ad evitare che accada una di quelle tre cose è il carcere. La norma è a rischio incostituzionalità, ma ha una sua evidente ragione: si presume che il vincolo mafioso ed il contesto in cui esso viene abitualmente esercitato sia tale per cui, in concreto, nessuna delle altre misure sarà adeguata. Per intenderci, un accusato di mafia sarà in grado di condizionare un teste o ordinare un’estorsione anche dai domiciliari più stretti e rigorosi. Quindi, solo per la Mafia, l’unica misura cautelare possibile è il carcere. E per tutti gli altri? Per tutti gli altri è come si è detto, perché non è la gravità del reato che determina il rischio che l’accusato possa compiere una di quelle tre cose. Anche per l’omicidio? Sì, anche per l’omicidio. (Si è fatto l’esempio dell’uxoricida). Per la rapina a mano armata, il terrorismo, il furto in abitazione, lo stupro? Valgono le regole dette prima (e spiegate). Prima del processo, se proprio c’è pericolo che l’accusato possa fare una di quelle tre cose, i modi per impedirglielo sono vari e tra questi c’è anche il carcere. Poi, se l’accusato sarà anche un condannato, resterà in galera. Chiaro?

Sennonché, un legislatore particolarmente cazzaro, nel 2009, sull’onda emotiva di tristi fatti di cronaca, aveva deciso di incontrare il favore della massa emotiva (per emotiva intendo cogliona, non voglio equivoci) ed aveva esteso anche alla violenza sessuale quella presunzione. La strage no, ma la violenza sessuale sì. Quindi, per concludere, aveva deciso che in caso di stupro o di mafia solo il carcere potesse evitare che l’accusato potesse compiere una di quelle tre cose durante il processo. Qui, signore, non si sta parlando della gravità o dell’odiosità di quel tipo di reato, né dell’adeguatezza della pena da infliggere al criminale violentatore di turno. No, qui il punto è un altro. Possibile che un omicida, anzi uno stragista, potesse ad esempio stare ai domiciliari per evitare di inquinare le prove del reato e un presunto stupratore no? In realtà, se la misura cautelare da adottare in concreto è semplicemente strumentale ad evitare il verificarsi di una di quelle tre cose, non sempre è necessario il carcere. Verosimilmente lo sarà, ma il giudice deve sempre valutare se altre meno restrittive lo sono. Poi c’è il processo e (forse) la condanna, ma – ormai l’abbiamo capito – è un’altra cosa (peraltro di gran lunga la più importante).

Nel giro di un anno la Corte costituzionale dichiarò la norma incostituzionale per evidente irragionevolezza (la strage no e la violenza sessuale sì?) e ripristinò il principio corretto (peraltro imposto dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali): il giudice valuterà caso per caso quale sarà la misura cautelare più adeguata. Tra queste, ovviamente, c’è anche il carcere.

Veniamo a noi. Cosa ha detto ieri la Cassazione? Ha detto questo, né più né meno. Un tribunale aveva disposto il carcere in via cautelare per due ragazzi accusati di violenza sessuale nei confronti di una diciassettenne, sul presupposto (errato) che fosse obbligato a concedere solo questa misura per evitare una di quelle tre cose (amo ripetermi: non si tratta del processo e della condanna). La Cassazione gli ha detto: «No, c’è stata una sentenza della Corte costituzionale, la norma da applicare è la solita, che ve ne siete scordati? Ripronunciatevi e valutate quali misure siano adeguate ad evitare una di quelle tre cose. Tra queste, lo sapete, c’è anche il carcere.»

Volete sapere cosa accadrà adesso. Il Tribunale si ripronuncerà e dirà: «Abbiamo valutato tutte le misure, cosa che la prima volta non abbiamo fatto ritenendo che non potessimo farlo. Ora però l’abbiamo fatto. La misura più adeguata resta il carcere».

Poi ci sarà il processo e i due, che rischiano da 6 a 12 anni, si beccheranno 10 anni di galera. Sapete chi lo dirà in ultimo? La Cassazione. Certo, in caso di scelta del rito abbreviato prenderanno di meno. Ma questo non lo dicono i giudici, lo dice la legge. Chi fa le leggi? I politici. Quelli che s’indignano.

P.s.: infinita tristezza per un‘intervista a Giulia Bongiorno che pur di accodarsi alla falsa polemica, in sostanza critica la pronuncia della Cassazione ripetendone pari pari i principi.

P.p.s.: tra i commenti indignati vi sono quelli che reputano queste ‘sentenze’ criminogene, giacché avrebbero in sé il messaggio dell’impunità del violentatore. Si è detto che il contenuto della pronuncia è stato tutt’altro e che non ha nulla a che vedere con l’effettività della futura pena. E se, dunque, fossero criminogeni gli articoli di stampa che fanno dire alla Cassazione cose che non ha detto facendo trapelare (falsamente) un’inclinazione all’impunità?